Digital Marketing
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Native Advertising: il fascino discreto della pubblicità

I social hanno modificato il rapporto consumatori-aziende. Oggi vincono le strategie pubblicitarie che non interrompono l'esperienza-utente. Il Native Advertising è un esempio

La scelta dei canali e degli strumenti pubblicitari è essenziale per raggiungere efficacemente i tuoi clienti, nonché nuovi bacini di utenza. Oggi parliamo di Native Advertising poiché questa forma di pubblicità scaturisce quasi come diretta conseguenza di uno dei principi essenziali su cui fonda oggi la comunicazione digitale. Stiamo parlando del Permission Marketing. Si tratta di un approccio non intrusivo che, contrapposto al più obsoleto Interruption Marketing, si basa sul consenso del consumatore. Questi, in un certo senso, acconsente a ricevere comunicazioni e informazioni pubblicitarie o promozionali. Non viene attratto, ma raggiunto con discrezione. Non viene, appunto, interrotto. Nella fattispecie, la pubblicità nativa si differenzia da quella tradizionale proprio perché non distrae lettori o viewers dal contenuto di cui stanno fruendo. Al contrario, il messaggio si adatta al canale che lo ospita, riproducendo l'esperienza-utente in termini di aspetto e contenuto. 

Native advertising: significato. Cos’è (e non è)

Sicuramente il rapporto tra chi acquista e chi vende è profondamente cambiato con  
l’avvento di Facebook, Instagram, delle altre piattaforme e di concetti come social media optimization o engagement. Oggi una strategia pubblicitaria funziona nella misura in cui propone contenuti che parlano dei medesimi argomenti, e nelle medesime modalità, dei contenuti ‘editoriali’ delle piattaforme in cui si inseriscono. Sui consumatori ‘digital-savvy’, il marketing dell’interruzione non è più efficace. Partiamo dunque da qui per definire il metodo noto anche come Ad Native: vediamo di cosa non si tratta.  La peculiarità che contrappone le pubblicità native a quelle Display -  garantendo un miglior ritorno sull’investimento - consiste esattamente nel non presentare lo stesso difetto di fabbrica. Un messaggio pubblicitario che interrompe le scelte di navigazione dell’utente fallisce nella missione principale: conquistare l’attenzione del consumatore. In un certo senso, è in questa fallibilità che nasce il Native Adv, come diretta conseguenza del dilagare della “cecità da banner” (banner blindness). Ovvero il fenomeno per cui i famosi banner, immediatamente identificati come spazi pubblicitari, nel migliore dei casi cadono nell’indifferenza. Letteralmente, come se non fossero visti. Nella peggiore delle eventualità, vengono percepiti come elemento di disturbo e chiusi.   Cos’è il Native Advertising ce lo spiegano in sintesi Dan Greenberg e Ian Schafer, entrambi CEO di alcune tra le aziende più note nel settore (Sharethrough e Deep Focus), e tra i primi utilizzare il termine. L’uno definisce l’Ad Native come «Un media integrato nel design, in cui gli annunci pubblicitari costituiscono parte del contenuto»; l’altro parla di «Una nuova versione di advertorial. Pubblicità che sfrutta una piattaforma nel modo in cui questa viene usata dagli utenti».

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Volendo sintetizzare caratteristiche e vantaggi di questo formato pubblicitario, si potrebbe così riassumere: 
  • Logica non intrusiva/non invasiva: ovvero l’arte di saper miscelare armoniosamente contenuti editoriali-informativi e comunicazioni pubblicitarie. 
  • Obiettivo: lasciare inalterata l’esperienza di navigazione.
  • Approccio Pull: diversamente dalle strategie promozionali di tipo Push (che si attivano automaticamente), questo approccio richiede sempre un’azione da parte dell’utente; come per esempio cliccare sull’adv o avviare un video.
  • Coerenza tematica: gli annunci a pagamento risultano in tutto e per tutto coerenti con la tematica sulla piattaforma.
  • Coerenza estetica, di design e formato: gli annunci rispettano la struttura e sembianze dei contenuti editoriali, riuscendo in un certo qual modo a “mimetizzarsi”.
Inoltre, calando il messaggio all’interno del contesto, il Native Advertising è in grado di garantire:
  • Rilevanza: i contenuti promozionali sono percepiti come concretamente interessanti, persino utili. Tanto quanto quelli organici, poiché portatori dello stesso livello di informazione o intrattenimento. 
  • Engagement: le inserzioni native coinvolgono maggiormente gli utenti e convertono di più.
È noto che le piattaforme social siano state le prime a sfruttare efficacemente l’approccio native, ma non sono certamente le uniche. Nel tempo, sono state identificate 6 macro-tipologie a seconda dei diversi canali: 
  1. Sezione Notizie: gli annunci pubblicitari che compaiono nei feed social degli utenti. Il formato riproduce in tutto e per tutto quello dei post organici, spesso sono riconoscibili solo grazie ai disclaimer che li identificano come contenuti “sponsorizzati”. 
  2. Paid Search: l’inserzione si presenta tra i risultati delle ricerche che gli utenti compiono nei motori di ricerca. In questo caso, il contenuto su cui il messaggio deve plasmarsi è la query di ricerca, in altre parole ciò che il consumatore sta effettivamente cercando online.
  3. Recommendation Widget: web magazine e siti web traducono l’adv nativa sotto forma di post raccomandati. Attraverso l’uso di widget, i contenuti a pagamento sono correlati a un determinato articolo tematicamente pertinente. 
  4. Promoted listing: la pubblicità compare all’interno di liste di prodotti per reindirizzare gli utenti che cliccano al sito dell’inserzionista.
  5. In-Ad: questo formato è di base simile ai banner standard, fatta salva l’irrinunciabile pertinenza con la linea editoriale. Il principio è quello di armonizzazione tra proposta commerciale ed editoriale. 
  6. Custom/Contenuti personalizzati: è probabilmente la tipologia più conosciuta e diffusa (insieme a quella in-feed). Siamo, qui, nell’ambito delle collaborazioni tra un publisher/editore che mette a disposizione il proprio spazio, e l’advertiser/azienda inserzionista. Si tratta di annunci che possono essere rielaborati, strutturati e personalizzati in accordo alla piattaforma. 

Come amalgamarsi al contesto?

Vediamo ora un esempio di native advertising - il primo in Italia - per chiarire ulteriormente il concetto base: passare da una strategia meramente promozionale e autoreferenziale, a un approccio che aiuta le persone a trovare contenuti utili. MSC Crociere e Fanpage: la compagnia di navigazione pubblica regolarmente contenuti nella sezione Viaggi del portale, con tanto di area dedicata. Quest’area, opportunamente brandizzata con tanto di widget social dell’azienda, ospita articoli a tema turismo e travel: racconti di viaggio, descrizioni delle destinazioni, consigli pratici. Si tratta di un vero e proprio blog all’interno del portale, peraltro uno tra i più visitati in Italia nel mondo viaggi.

Come amalgamarsi al contesto?

Questo esempio è strutturato ed evoluto. Naturalmente ne esistono di più semplici. Potrebbe essere il caso di un’azienda che vende prodotti alimentari, la quale per pubblicizzarsi pubblica una video-ricetta ospitata in un portale, o pagina social, che condivide ricette. Nelle fattispecie, video-ricette.   Infine, è fondamentale ricordare l’importanza della trasparenza. 
Gli annunci nativi nascono con l’obiettivo dichiarato di confondersi nel contesto, cionondimeno il consumatore deve poterli riconoscere come messaggio pubblicitario. A tale scopo, si utilizzano di norma soluzioni grafiche (che concettualizzano l’annuncio) o delle ancor più dirette etichette esplicative (“A cura di”, “Promoted by/Promosso da”, “Sponsorizzato”, “Ad”, …). In definitiva, per essere efficace, oggi una strategia pubblicitaria deve trovare l’equilibrio perfetto tra trasparenza (la natura sponsorizzata deve essere chiara, evitando il rischio di ingannare gli utenti) e la capacità di rispettare la linea editoriale, il design e la qualità dei contenuti organici pubblicati dalla piattaforma di riferimento.

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